«Dio, aiutami. Farò tutto quello che mi mostrerai nella tua infinita generosità, te lo prometto, ma ora salvami, ti prego. Ho solo sedici anni e non posso morire così.» Una preghiera. C'è spazio solo per questo nella testa di Loveth mentre tenta disperatamente di salire sul gommone che dovrebbe portarla dall'altra parte del mare, verso una destinazione sconosciuta, verso la falsa promessa di un futuro migliore. In Nigeria, Loveth aveva una famiglia, amici, una vita ordinaria e già scritta: presto avrebbe dovuto smettere di andare a scuola, sposarsi, diventare madre. Ma lei, come tante ragazze della sua età, ha sogni più grandi: vuole studiare, essere libera. Sarà questo ardente desiderio a portarla dritta nella trappola di chi, senza scrupoli, si approfitta dell'ingenuità e della disperazione altrui per arricchirsi. Una signora gentile le propone un lavoro da babysitter, potrà guadagnare, magari andare all'università. Ciò che non le dice è che quel lavoro è in Europa, e che lì dovrà vendere il proprio corpo per saldare un debito che non sa nemmeno di aver contratto. Solo una volta iniziato il viaggio, Loveth capisce ciò che l'aspetta davvero: nella sua odissea attraverso il deserto e il Mediterraneo imparerà sulla propria pelle cosa significhi avere paura, fame e sete, cosa sia la violenza, che aspetto abbia la morte. Loveth Kinglsey ha dovuto scavare a fondo dentro di sé per trovare il coraggio di raccontare l'inferno che ha vissuto, lo stesso di tanti uomini e donne che finiscono nelle reti del traffico di migranti; persone con un nome, un cognome e una storia che merita di essere ascoltata.